Home Restaurant in Sardegna: Non si sente parlare d’altro, è la moda del momento, stiamo parlano degli Home Restaurant (detti anche Supper club) o se preferite in italiano dei Ristoranti in casa. Di che si tratta? Di persone che aprono le proprie case per pranzo o cena ad ospiti che raccolgono l’invito tramite il web. Può trattarsi di luoghi molto particolari con location da favola, può essere il caso di chi ama sia cucinare che la socialità e quindi un modo per conoscere altre persone e appassionati di cucina, di sentirsi Chef per un giorno, può essere l’occasione per riassaporare i sapori di una volta con i piatti della tradizione o l’idea per lanciare delle cene a tema, per avere un’entrata extra, oppure per saggiare le proprie qualità di cuochi per poi magari aprire un locale in proprio. E’ la sharing economy, l’economia della condivisione, che grazie a smartphone, social network e app promette di sconquassare gli equilibri sedimentati della nostra società.
Come già sta facendo Airbnb, attraverso il cui sito privati di 192 paesi affittano o subaffittano la propria casa o una camera a viaggiatori di tutto il mondo (e che presto aprirà una categoria dedicata proprio agli home restaurant); è il caso della sardissima Guide me Right, che promette di farci visitare un territorio con guide locali, anche non professioniste, scelte in base al proprio stile di vita; o della famigerata app Uber, che sta mettendo a dura prova il mercato dei tassisti.
E allora ecco che chiunque, per una sera, può trasformare la propria casa in un ristorante, promuovendo l’evento su Facebook o sui social nati per l’occasione, penso ad esempio a Gnammo.com e kitchenparty.org. Soprattutto nel primo tanti gli eventi in Sardegna, da Quartu a Villasimius, da Arzachena a Fluminimaggiore. Tra le cene che ho avuto modo si visionare c’è chi punta su pranzi in stile parigino, chi sui cibi genuini e ricette e piatti della nostra terra, spesso realizzati in casa. Semmai i prezzi non paiono sempre bassissimi, com’era invece l’idea originale.
La fonte di quanto segue è Il Sole 24 Ore che ha dedicato un bell’articolo all’argomento – con tanto di analisi degli aspetti normativi e fiscali – , anche se è sempre meglio consultare il proprio commercialista. Sembra comunque che la pratica del Supper club non costituisca attività commerciale, si stanno semplicemente invitando amici o persone conosciute su internet a mangiare a casa propria in cambio di un piccolo compenso. Non serve quindi partita IVA – è possibile svolgere attività lavorativa occasionale, senza partita Iva, fino ad un massimo lordo di 5.000 euro annui, soglia di esenzione dall’obbligo contributivo -, ma soprattutto non serve autorizzazione sanitaria, anche se il noto quotidiano afferma che è preferibile munirsi di un attestato sulla sicurezza alimentare. In buona sostanza si sfrutta un buco normativo, in Italia poi dove le leggi nascono già in ritardo e antiquate sui tempi, non c’è proprio modo che si riesca a reggere il passo delle novità. Di sicuro con la sharing economy chi perde davvero potere è la burocrazia.
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photo credit: Screenshot dell’home page di gnammo.com.
This post was published on 20 Aprile 2015 11:09
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Tra le tante piattaforme di social eating io consiglio http://www.eatvibe.com dove trovate tantissimi eventi in tutta Italia ;)
Io ho partecipato a diversi eventi con KitchenParty: è una realtà più piccola in Italia ma più diffusa nel mondo. Mi sono divertito perché a Roma ho conosciuto tanti turisti di passaggio che volevano provare il social dining. Oltretutto KP funziona anche con i locali, non solo a casa.
Al di là del social comunque, è proprio l'idea che è divertente: si mangia bene, si spende il giusto e si incontra tanta gente.
Eh sì, ne hai individuato benissimo lo spirito :)